18.8.12

Giorgio Agamben - Archeologia dell'opera d'arte (Scicli, 6 agosto 2012)



Archeologia dell'opera d'arte, la lezione di Agamben tenuta a Scicli presso Palazzo Spadaro. Presentazione del Prof. Paolo Nifosì.
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Un monaco, come Casel, in qualche modo un asceta, in quel caso non un artista, che corrisponde al nome di Marcel Duchamp inventa il Ready-Made. Giorgio Agamben: "Duchamp, proponendo quegli atti esistenziali che erano i Ready-Made, e non delle opere d'arte, sapeva perfettamente di non operare come un artista, sapeva anche che la strada dell'arte era sbarrata dall'ostacolo insormontabile che era l'arte stessa, ormai costituita dall'estetica come una realtà autonoma. Duchamp aveva capito che ciò che bloccava l'arte era la macchina artistica, che aveva raggiunto nelle liturgie delle avanguardie la massa critica. Cosa fa Duchamp per far esplodere o almeno disattivare quella macchina opera-artista-operazione creativa? Prende un qualsiasi oggetto d'uso, magari un orinatoio, e introducendolo in un museo lo forza a presentarsi come un'opera d'arte. Non c'è l'opera, perché l'orinatoio è un oggetto d'uso prodotto industrialmente, non c'è l'operazione artistica, perché non c'è in alcun modo poiesis, produzione, non c'è l'artista, perché colui che sigla con un ironico nome falso l'oggetto, non agisce come artista, lo fa piuttosto come filosofo, come critico, come uno che respira, un semplice vivente, per citare Duchamp. Quel che poi è avvenuto, è che una congrega, purtroppo ancora attiva, di abili speculatori e di gonzi, ha trasformato il Ready-Made in un'opera d'arte. Non che essi siano riusciti a rimettere realmente in moto la macchina artistica, questa gira oggi a vuoto, ma la parvenza di un movimento riesce ad alimentare, spero per non molto tempo ancora, quei templi dell'assurdo che sono i musei di arte contemporanea. Abbandoniamo la macchina artistica al suo destino. A mio giudizio, artista o poeta non è colui ha la potenza o la facoltà di creare, che un bel giorno decide, con un atto di volontà, come il dio dei teologi, di mettere in opera, non si sa bene come e perché. Come il poeta e il pittore, così anche il falegname, il calzolaio e infine ogni uomo non sono i titolari trascendenti di una capacità di agire o di produrre opere, sono piuttosto dei viventi, che nell'uso, soltanto nell'uso delle loro membra come del mondo che li circonda fanno esperienza di se e si costituiscono come forme di vita. L'arte non è che il modo in cui l'anonimo che chiamiamo artista, mantenendosi costantemente in relazione con una pratica, cerca di costituire la sua vita come una forma di vita: la vita del pittore, del musicista, del falegname, in cui, come in ogni forma di vita, è in questione nulla di meno che la sua felicità. Vorrei concludere con le parole di un grande pittore di Scicli, che alla domanda "per lei, Piero Guccione, dipingere è più che vivere?" ha risposto semplicemente: "Dipingere è certamente per me l'unica forma di vita, l'unica forma che ho per difendermi dalla vita".